Ieri papa Bergoglio ha prospettato – nientemeno – una riforma del papato: “non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare ‘decentralizzazione’ ”.
Sebbene citi una frase di Giovanni Paolo II, Bergoglio in realtà intende fare un’operazione che ricalca la vecchia idea antiromana dei catto-progressisti, che è l’opposto di quanto intendeva papa Wojtyla.
Non a caso, infatti – dopo averla prospettata nella Evangelii gaudium – il papa argentino rilancia quest’idea oggi, nel pieno dell’incandescente Sinodo sulla famiglia. Il motivo è chiaro.
SINODO AGGIRATO
Mesi fa – vedendo che la rivoluzione di Kasper non era stata approvata dal Sinodo del 2014 – il presidente della conferenza episcopale tedesca, Reinhard Marx, aveva affermato con spavalderia che l’episcopato tedesco non è “una filiale di Roma”. Rivendicando dunque la pretesa di poter andare per la propria strada (sembrò quasi una minaccia di scisma “da sinistra”).
L’idea formulata ieri serve a Bergoglio per dribblare il Sinodo (dove la maggioranza resta cattolica) come già ha fatto con il Motu proprio che introduce il divorzio nella Chiesa.
In pratica si delegherebbero agli episcopati – come quello tedesco – le questioni controverse (divorziati risposati, coppie di fatto e omosessualità). Ma tale scelta, anziché risolvere la questione, la renderebbe ancora più esplosiva e più grave. Perché demolirebbe la Chiesa stessa.
FINE DEL CATTOLICESIMO
Infatti, nel marzo scorso, il cardinale Mueller, Prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, aveva risposto a Marx che delegare decisioni dottrinali o disciplinari in materia di famiglia o matrimonio alle conferenze episcopali nazionali “è un’idea assolutamente anticattolica che non rispetta la cattolicità della Chiesa”.
La verità non cambia con il clima. Se la verità non è dovunque la medesima non è più la verità. Sarebbe il trionfo della “dittatura del relativismo” pure nella Chiesa e quindi la sua fine.
Il cardinal Burke lo ha ripetuto: “è semplicemente contrario alla fede e alla vita cattolica. La Chiesa segue l’insegnamento del nostro Signore Gesù Cristo (ed) è una in tutto il mondo. Non c’è alcun cambiamento in queste verità, da un luogo ad un altro o da un tempo all’altro. Certamente l’insegnamento di queste verità tiene conto delle particolari esigenze di ogni area. Ma questo non cambia l’insegnamento” che, anzi, “deve essere ancor più forte nei luoghi in cui è più compromesso”.
Se passa l’idea delle “diversità regionali” – prospettata anche al Sinodo – “la Chiesa non è più cattolica [universale]. Ciò significa” aggiunge Burke “che non è più ‘una’ nel suo insegnamento in tutto il mondo. Abbiamo ‘una’ sola fede. Abbiamo ‘un’ [insieme di] sacramenti. Abbiamo ‘un’ governo in tutto il mondo. Questo significa ‘cattolica’ ”.
Una riforma del papato che trasformasse la Chiesa in una federazione di chiese locali che decidono – ciascuna per sé – in merito a divorziati risposati e omosessualità, quindi a comandamenti e sacramenti – lederebbe la “divina costituzione” della Chiesa (cioè la Chiesa come è stata fondata da Cristo) e una simile riforma non è nei poteri di nessun papa. Perché il Papa non è superiore a Gesù Cristo.
Come si vede, più al Sinodo si entra nel vivo e più si scopre che – al fondo – il vero scontro è sui fondamenti della fede cattolica e sulla sopravvivenza della stessa Chiesa così come Cristo l’ha istituita e come esiste da duemila anni.
CHIESA E ANTICHIESA
Pochi capiscono la portata dello scontro in atto perché il Sinodo è stato voluto (da Bergoglio) a porte chiuse, è imbavagliato e filtrato dall’establishment bergogliano. E la gran parte dei media canta in coro sempre e solo la solfa che vogliono i maestri cantori. Se però si va a scavare si scopre che c’è ormai uno scisma di fatto, non dichiarato, ma evidente.
Molti padri sinodali, consapevoli dell’immensità della posta in gioco, manifestano la loro forte preoccupazione. Lo hanno fatto – a nome di tanti altri – i tredici cardinali della famosa Lettera, con lealtà e rispetto, ma in aula hanno avuto da Bergoglio una risposta durissima (un “no” su tutto) e poi si sono visti messi all’indice come “congiurati” grazie a qualcuno che – facendo filtrare la Lettera alla stampa – l’ha fatto in modo tale da screditare i firmatari e anche i non firmatari (costretti alla dissociazione).
E da screditare pure Sandro Magister – giornalista scomodo all’attuale establishment – liquidato come uno che alimenta complotti, quando ha solo fatto il suo lavoro (se esiste una cospirazione, non è contro Bergoglio, ma – come ha detto il cardinal Dolan – contro la famiglia che, al Sinodo, invece di essere difesa, rischia la liquidazione definitiva).
Questo è il clima. L’associazione americana “Voice of the Family” sostiene che al Sinodo è in atto uno scontro tra Chiesa e anti-Chiesa, ma l’arcivescovo bergogliano Cupich – a cui è stata sottoposta questa affermazione – ha fatto spallucce: “Non sono d’accordo. Ascoltarci gli uni gli altri è di grande beneficio”.
Purtroppo non è vero, perché Bergoglio non sente ragioni e procede come un carro armato verso il suo obiettivo.
Non c’è nessun ascolto per la voce dei cattolici, che anzi viene sprezzantemente snobbata e perfino delegittimata, come si è visto proprio con la Lettera dei cardinali.
E’ accaduto lo stesso con l’intero episcopato polacco che ha difeso la dottrina cattolica, perché nel Paese di Giovanni Paolo II si assiste con sgomento all’improvviso ribaltamento del suo magistero attuato a Roma.
La rivista “Polonia cristiana”, rappresentativa del mondo cattolico polacco, ha realizzato un video “Krisis. Dove ci porterà il Sinodo”, in cui parlano vescovi e cardinali e si sentono affermazioni drammatiche secondo cui l’eresia nella Chiesa è arrivata ai piani alti.
Somiglia agli antichi confessori della fede Monsignor Tomasz Peta, l’arcivescovo di Astana, in Kazakistan: la sua è una chiesa composta perlopiù da ex deportati dei lager comunisti (sia preti che fedeli).
Al Sinodo ha fatto un formidabile e drammatico intervento:
“Il Beato Paolo VI disse nel 1972: ‘Da qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio’. Sono convinto che queste parole del santo pontefice, l’autore dell’Humanae vitae, furono profetiche. Durante il Sinodo dello scorso anno, ‘il fumo di Satana’ stava cercando di entrare nell’aula di Paolo VI”.
A questo punto l’arcivescovo elenca le tre questioni che stanno terremotando la Chiesa e nelle quali sente quel “fumo”. Eccole come le riferisce il prelato kazako:
“1) La proposta di ammettere alla sacra Comunione chi è divorziato e vive in una nuova unione civile; 2) L’affermazione che la convivenza è un’unione che può avere in se stessa alcuni valori; 3) La perorazione per l’omosessualità come qualcosa che è presumibilmente normale”.
Va ricordato che proprio questi tre punti erano stati respinti al Sinodo del 2014, ma sono stato reinseriti d’imperio da Bergoglio nell’ “Instrumentum laboris” di questo Sinodo.
Infatti l’arcivescovo Peta aggiunge che anche in questo Sinodo si è ricominciato “a portare avanti idee che contraddicono la Tradizione bimillenaria della Chiesa, radicata nel Verbo eterno di Dio” e “purtroppo, si può ancora percepire l’odore di questo ‘fumo infernale’ in alcuni passi dell’Instrumentum laboris e anche negli interventi di alcuni padri al Sinodo di quest’anno”.
L’arcivescovo kazako ha concluso: “Non è consentito distruggere il fondamento e la roccia”.
Un intervento eccessivamente allarmistico? No, realista.
Basta considerare quello che è accaduto nei giorni scorsi, quando l’establishment bergogliano del Sinodo è arrivato a rendere noto e celebrare come “commovente” ed esemplare un fatto spiacevolissimo che – obiettivamente – è stato una profanazione dell’eucarestia.
La gravità del fatto prova che c’è un allarme rosso per la Chiesa.
Antonio Socci