Gesù
disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione
di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro
pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio
perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e
neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le
decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli
occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di
me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua
giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si
umilia sarà esaltato».
Ci si può chiedere oggi perché la debolezza sia migliore della forza. Gesù ci presenta questa parabola dove, proprio davanti al Santissimo, un fariseo (fariseo = VARIZAR= pastore, o anche capo dei pastori) di grande riguardo presentò al Signore la sua preghiera di ringraziamento, parlando così ad alta voce:
“O
Signore! Io Ti ringrazio, o Signore, per avermi concesso questa grande
forza;per questo fin dai miei anni infantili ho potuto servirTi in modo
fedelissimo e non ho mai peccato con una legge contro di Te, o Signore!
Infatti ho osservato le leggi di Mosè fino alla minima virgola. Ho
adempiuto precisamente i miei doveri di classe sociale, in ogni tempo Ti
ho sacrificato con estrema abbondanza e puntualmente ho dato la decima di
tutto con esattezza. Nello stesso modo non mi sono mai reso impuro, né al
mattino, né al mezzogiorno, né alla sera. Ed altrettanto non ho mai
profanato il Sabato nemmeno con un dito.
Oh,
per questo Ti ringrazio, mio Dio, ora con pienissimo, convincente fervore
di tutta la mia forza conferitami assai benevolmente da Te; perciò io ho
sempre camminato giustamente dinanzi a Te e sono giustificato dalla testa
fino al dito del piede e non sono un peccatore come i volgari giudei, come
i perdigiorno, come i ladri, i rapinatori ed assassini, come i lussuriosi
e adulteri, come i profanatori del Sabato ed i mangiatori di porci e
neanche minimamente come tutti i pubblici peccatori, ciarlatani,
ballerini, commedianti, maghi, pubblicani e vili usurai e neanche
minimamente come i samaritani e simili ancora!”.
Questa
era all’incirca la preghiera di ringraziamento del giusto fariseo.
Ma
molto in fondo al tempio stava anche un pubblicano peccatore. Costui non
osava quasi alzare i suoi occhi e disse nella completa contrizione del suo
animo:
“O
Signore! Io povero, debole peccatore non sono degno di contemplare il Tuo
santo Luogo, non sono degno di stare anche solamente all’ultimo posto
del Tuo Tempio! Sii, o Signore, però benevolo e misericordioso verso di
me, povero, debole peccatore, se io fossi ancora minimamente degno di una
Misericordia!”.
A
questo punto il pubblicano si batté sul petto e lasciò il tempio
piangendo.
Chi
di questi due andò via giustificato dal tempio? Non di certo il
vanaglorioso fariseo che enumerò esclusivamente la propria giustizia e
non quella di Dio e si considerava migliore di tutti gli altri; ma il
debole, peccaminoso pubblicano, il quale si riteneva peggiore di tutti gli
altri.
Se
allora il pubblicano divenne amico del Signore e il fariseo però divenne
proprio il contrario, allora si capisce quando Paolo dice: “Affinché
io non mi insuperbisca al di sopra dell’elevata Rivelazione, mi è data
una spina nella carne, cioè un angelo di Satana (vale a dire amore
carnale o brama vogliosa carnale), affinché esso mi colpisca con i
pugni”.
Altrettanto
dice anche Giobbe: “Cosa
c’è di più facile che insuperbirsi in un’alta carica e considerarsi
migliore di tutti i propri fratelli ai quali non toccò una tale carica!?
Ma che cosa c’è anche di più pericoloso per lo spirito dell’uomo che
proprio un tale insuperbirsi che è facilmente possibile?!”
Anche
per Paolo e ognuno della sua carica era necessario avere un costante
ammonimento nella carne, ammonimento che a lui parlava così: “Vedi, tu
sei soltanto un uomo e assolutamente nessun Dio! Ogni volta che tu cadrai
dinanzi a Me, Io ti voglio rialzare affinché tu ti ricorda di essere
solamente un uomo!”. Paolo
avvertì in sé questo gemito. Perciò pregò il Signore affinché Lo liberasse da questa prova.
Gli
fu però detto: “Accontentati della Mia Grazia, poiché la Mia Forza
è potente solamente nei deboli!” – cioè se essi riconoscono
vivamente la loro debolezza, come poi anche Paolo riconosce quando dice: “Allora
mi voglio vantare molto volentieri della mia debolezza, affinché in me
dimori sempre la Forza di Cristo! E perciò io, Paolo, sono ora sempre di
buon animo nelle mie debolezze, nell’umiliazione, nella necessità,
nelle persecuzioni e nei timori per amore di Cristo. Infatti io so che
sono forte soltanto quando sono debole!”.
Il Signore è sempre più vicino al debole e di conseguenza all’umile che ad uno forte o per lo meno tanto stolto da ritenersi forte. Chi cade più spesso nel camminare che i bambini?! E tuttavia Gesù dice: “Se non diventate come i piccoli, non entrerete nel Mio Regno dei Cieli!”. Da ciò si può scorgere perché Paolo si vantava della sua debolezza.
Ma
anche da questo si può vedere che il buon Pastore lascia le 99 pecorelle
giuste e va a cercare la centesima che si era smarrita, e quando la trova,
con la più grande gioia se la mette sulle sue spalle e la porta a casa; e
ancora, il Padre andò incontro solo al figliol prodigo, lo accolse, gli
preparò perfino un grande banchetto, lo adornò con l’anello padronale
e lo innalzò agli onori più grandi!
Chi
qui lotta nella sua debolezza e vince, costui il Signore lo preferisce
mille volte ad un forte al quale la vittoria è facile. C'è più gioia in
cielo per un peccatore contrito piuttosto che per novantanove che si
credono giusti e che guardano con disprezzo il peccatore. Quando il debole
cade, allora Gesù lo vuole rialzare per quante volte egli anche cada. Ma
il forte può rialzarsi da solo se è caduto.
Il
Signore ci lega nella nostra debolezza alla Sua Forza.