Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la
folla veniva a lui ed egli l'ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il
figlio di Alfèo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Séguimi».
Egli, alzatosi, lo seguì.
Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si
misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti
quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei,
vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi
discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei
peccatori?». Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i
giusti, ma i peccatori».
Oggi ci è dato di conoscere Matteo, il pubblicano. Esso era greco di nascita, aveva un’età di 35 anni, ed aveva avuto il privilegio che suo zio fosse stato risanato dal Signore pochi giorni prima (era uno dei 8 fratelli che avevano portato il paralitico dentro la casa di Pietro dove c’era Gesù).
Sibarah era la prima cittadina, venendo da
Cafarnao e da Nazareth (non la Nazareth attuale che non è quella
originaria dove visse Gesù, la quale era distanza da Cafarnao circa
un’ora di cammino ed era a pochi chilometri dalla riva del lago di
Galilea) che aveva una gabella, ossia una delle nostre attuali dogane.
Matteo aveva in appalto dai romani questa gabella, e per questa sua
attività non era ben visto da moltissima gente.
Stiamo parlando di Matteo “il pubblicano”,
che è una figura diversa da Matteo “evangelista.” Matteo evangelista
era Galileo, aveva la funzione di scrivano in un ufficio romano a Sichar,
in Samaria, e conobbe Gesù dopo l’incontro con la samaritana al pozzo
di Giacobbe.
Come altre notizie possiamo dire che Matteo era
uno dei pochi apostoli non pescatori; infatti dei dodici, Matteo era un
doganiere, Bartolomeo era un ex essendo e Giuda, manco a dirlo, era un
venditore, un venditore di pentole.
Matteo condusse Gesù e il suo seguito a casa sua, nella quale tutti i doganieri che erano addetti a quell’ufficio principale, ed un gran numero di sorveglianti e di altri simili “peccatori” (secondo la misura e il giudizio degli ebrei, dei farisei e degli scribi) pranzavano.
Infatti la casa di Matteo era grande e nello stesso tempo era anche un’osteria nella quale gli ebrei potevano ricevere qualcosa da mangiare e da bere, pagando però, mentre i doganieri, i sorveglianti ed i “peccatori” vi avevano il vitto gratuito, poiché essi erano tutti quanti servitori in quella casa che tenevano in appalto dai romani per la riscossione dei dazi.
I doganieri si affrettarono ad invitare Gesù a tavola, ed ai Suoi discepoli ed anche ai farisei e agli scribi fu distribuito pane e vino in giusta quantità; però se i discepoli erano di buon umore non così può dirsi dei farisei e degli scribi che erano venuti con loro, i quali non potevano dissimulare la loro rabbia per non essere stati anch’essi invitati a tavola.
Accadde però che, mentre Gesù si trovava già seduto a tavola assieme ai pubblicani ed ai peccatori che erano là già in bel numero, entrarono in casa ancora altri pubblicani e peccatori i quali venivano da altre località, poiché la casa di Matteo era conosciuta dappertutto come molto agiata ed ospitale, e là, particolarmente nei giorni di sabato, c’era una numerosa ressa di ospiti. Essi salutarono tutti il Signore con estrema gentilezza, ed osservarono che a quella casa non sarebbe potuto derivare onore più grande di quello di averLo per ospite; ed essi aggiunsero altri tavoli a quello al quale Gesù era seduto, e tutti vi presero posto.
I farisei e gli scribi nel frattempo facevano ressa davanti al portone di casa per fare attenzione a quanto Gesù avesse potuto operare o dire. E come essi videro che discorreva con i peccatori e con i pubblicani in maniera oltremodo amichevole, si accesero d’ira nei loro cuori e domandarono ai discepoli perché Gesù mangiasse con i peccatori.
Gesù
rispose in modo che ognuno comprendesse con la propria sapienza ciò che
venne detto: non sono coloro che si reputano sani (sapienti) che hanno
bisogno del medico (Maestro), ma coloro che sono malati (difettano in
qualcosa e ne sono coscienti).
I
farisei naturalmente intesero tutto ciò come un complimento fatto alla
loro persona, e non come un ammonimento.
Ai
sapienti, ieri come oggi, nulla sarà rivelato, perché contano troppo
sulle proprie forse e disprezzano coloro che di questa presunta sapienza
fanno difetto.
Ma, a suo tempo, anche noi avremo una buona misura, colma e pigiata, di vera sapienza proveniente dal Signore, e coloro che si tentano di arrabattarsi nella loro mondana sapienza rimarranno in disparte, finché non si riconosceranno malati.