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San Matteo.
Mt 9, 9-13

Gesù, passando, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte e gli disse «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 
Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 
Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». 
 

 

Matteo aveva un’eta di 35 anni, ed aveva avuto il privilegio che suo zio fosse stato risanato dal Signore tempo addietro (era uno dei 8 fratelli che avevano portato il paralitico dentro la casa dove c’era Gesù).  Era greco di nascita, aveva mogli e figli, ed era titolare di una gabella (dogana) nei pressi di Sibarah.

Matteo venne soprannominato “il pubblicano” per la sua attività, ma anche per contraddistinguerlo dal Matteo evangelista (il quale prima della chiamata di Gesù era uno scrivano presso un ufficio romano in Sichar), che era stato eletto precedentemente da Gesù in Samaria e precisamente nella città di Sichar, lo stesso giorno dell’incontro con la samaritana al pozzo di Giacobbe. 

Matteo “il pubblicano” era greco di nascita quindi, mentre gli altri undici apostoli erano galilei. Era uno dei tre apostoli (Matteo, Giuda Iscariota e Bartolomeo) che non erano pescatori. Il fatto di essere greco di nascita, ma vero ebreo interiormente, gli permetteva di fronteggiare i farisei con un atteggiamento impavido, visto che quest’ultimi potevano lanciare i loro anatemi solo agli ebrei.

Tra i dodici apostoli solo Filippo (il più anziano, conoscente di Giuseppe, e speranzoso fin dalla nascita di Gesù, che esso fosse il Messia) e Giovanni (il più giovane) erano celibi.

Matteo  condusse Gesù e il suo seguito a casa sua, nella quale tutti i doganieri che erano addetti a quell’ufficio principale, ed un gran numero di sorveglianti e di altri simili “peccatori” (secondo la misura e il giudizio degli ebrei, dei farisei e degli scribi) pranzavano.

Infatti la casa di Matteo era grande e nello stesso tempo era anche un’osteria nella quale gli ebrei potevano ricevere qualcosa da mangiare e da bere, pagando però, mentre i doganieri, i sorveglianti ed i “peccatori” vi avevano il vitto gratuito, poiché essi erano tutti quanti servitori in quella casa che tenevano in appalto dai romani per la riscossione dei dazi.

I doganieri si affrettarono ad invitare Gesù a tavola, ed ai Suoi discepoli ed anche ai farisei e agli scribi fu distribuito pane e vino in giusta quantità; però se i discepoli erano di buon umore, non così può dirsi dei farisei e degli scribi che erano venuti con loro, i quali non potevano dissimulare la loro rabbia per non essere stati anch’essi invitati a tavola.  

Accadde però che, mentre Gesù si trovava già seduto a tavola assieme ai pubblicani ed ai peccatori che erano là già in bel numero, entrarono in casa ancora altri pubblicani e peccatori i quali venivano da altre località, poiché la casa di Matteo era conosciuta dappertutto come molto agiata ed ospitale, e là, particolarmente nei giorni di sabato, c’era una numerosa ressa di ospiti. Essi  salutarono tutti il Signore con estrema gentilezza, ed osservarono che a quella casa non sarebbe potuto derivare onore più grande di quello di averLo per ospite; ed essi aggiunsero altri tavoli a quello al quale Gesù era seduto, e tutti vi presero posto.

I farisei e gli scribi nel frattempo facevano ressa davanti al portone di casa per fare attenzione a quanto Gesù avesse potuto operare o dire. E come essi videro che discorreva con i peccatori e con i pubblicani in maniera oltremodo amichevole, si accesero d’ira nei loro cuori e domandarono ai discepoli perché Gesù mangiasse con i peccatori.

Ma Gesù è venuto per i peccatore e non per coloro che si reputano giusti. Coloro che si reputano giusti guardano con disprezzo i fratelli peccatori, perdendo così la comunione con Cristo.

Sappiate che solo amando si può arrivare alla felicità. Al giudizio finale Gesù ci giudicherà sull’amore. Quanto e come avremo amato il Signore e come avremo amato il prossimo; se l’avremo amato per Gesù sacrificandosi, saremo salvi.

Dai frutti si conosce l’albero, così sarà di noi alla fine dei tempi. Dalle nostre opere si vedrà da chi sono state dirette, se buone da Gesù, se cattive dal maligno.

La zizzania sarà bruciata.

Non qui si può separarla dal grano buono, crescerà insieme, si confonderà con esso. State attenti perché possiamo sbagliare a giudicare, credere zizzania chi ne ha solo l’apparenza. C’è chi si camuffa come grano ma non lo è, chi sembra zizzania perché mimetizzato con essa ma dentro è grano buono.

Apriamo gli occhi, non condanniamo, stiamo a vedere e cerchiamo di vedere in fondo ai cuori, là c’è veramente il buono o il cattivo seme. Preghiamo perché si illumini la nostra mente. Lo Spirito ci farà aprire bene gli occhi, ci farà vedere in fondo ai cuori, ci farà capire quelle che sono le sovrastrutture che mascherano il fine buono o il fine cattivo.