I Magi
erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a
Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre,
fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole
cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in
Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che
era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò
e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il
suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che
aveva appreso con esattezza dai Magi.
Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa:
«Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più».
Erode
nulla può contro la Sapienza divina; un angelo appare in sogno a Giuseppe
per mostrare la via da prendere; la stessa cosa accade ai sapienti di
Persia, che ritornano al loro paese seguendo la strada indicata
dall’angelo. Erode si sente tradito, il male ha le gambe corte e ben
presto dimostra tutti i suoi limiti. L’ira, l’egoismo, l’avidità di
potere e la brama di dominio sfocia nella malsana idea di sterminare i
fanciulli da uno a due anni, per evitare che il nuovo Re dei giudei possa
diventare un usurpatore del suo trono. Non ha la certezza di impossessarsi
di quell'unico bambino che minaccia il suo potere, ed elimina tutte le
possibili alternative.
Non
pensate che Erode sia diverso da qualche potente che anche oggi domina
parte del nostro mondo. Essi sono figli ciechi del mondo, che non riescono
a vedere la luce.
Il
Signore Dio aveva di fronte due scelte: salvare il Bambino Gesù facendolo
scappare, o sterminare Erode e salvare i cento fanciulli.
Scegliendo
la prima, il Signore Dio decide di non scagliare la Sua maledizione su
Erode; lascia che il suo capo porti ancora la corona del potere, corona
che gli porterà varie afflizioni. Erode diventò pieno di
pidocchi, e la sua servitù per tutta la restante vita di Erode non ebbe
altro da fare che ripulirlo dai pidocchi, i quali si moltiplicavano sempre
e infine provocarono anche la morte del suo corpo.
I cento innocenti furono da subito al
cospetto della Gloria del Signore, ma Erode, nonostante il tempo
concessogli, non si convertì.
Anche oggi, di fronte alle tante
sciagure che i nostri occhi vedono, ricordiamo che il Signore permise
anche ad Erode di ravvedersi, lasciando che piccole vite, assunte subito
nel più alto dei cieli, vengano tolte da questa Terra.
Giuseppe deve andarsene al più presto,
non deve esitare; Erode con la sua legione militare è già sulla via di
Betlemme. Ricapitolando, l’ottavo giorno Gesù fu circonciso, il nono
giorno è di nuovo con la Sacra Famiglia a Betlemme nella grotta. Il decimo giorno
arrivò davanti alla grotta la carovana dei Magi (sapienti di Persia,
astronomi in possesso di un’antica profezia nella quale vi era scritto
che in quel tempo sarebbe nato agli Ebrei il Re dei re, e che la sua
nascita sarebbe stata indicata da una stella); ma ecco che l’undicesimo
giorno si concretizza la fuga in Egitto.
Anche noi, molte volte, dobbiamo
rifuggire il male, e non affrontarlo, per poter preservare nel bene.
Prendere le cose di petto non è la via più sicura per arrivare alla meta
prefissata. Spesso è meglio usare l’astuzia, e lasciare che il tempo
faccia il suo corso.
Così fa Dio, così fa Giuseppe. La via
più corta per l’Egitto sarebbe stata attraversare la Palestina fino a
Askalon, da là a Gaza, da là a Geras e soltanto da là a Elusa in
Arabia; ma dalla Palestina nessuna strada sicura conduceva in Egitto.
Allora Giuseppe dovette prendere una strada un po’ più lunga: il primo
giorno giunse in vicinanza della piccola città di Bostra (oggi Bosra),
dove passò la notte, glorificando il Signore.
Di là il giorno seguente Giuseppe salì
su un’erta montagna, e alla sera giunse nei dintorni di Panea, chiamata
poi Cesarea Filippi, una cittadina di confine a nord tra la Palestina e la
Siria. Da Panea il terzo giorno raggiunse la provincia di Fenicia, con
arrivo nei dintorni di Tiro. Da lì, grazie all’ aiuto di Cirenio Quirino,
governatore romano della Siria (e fratello dello stesso Cornelio presente
negli atti degli apostoli, che ricevette la visita di Pietro), furono
imbarcati in una piccola nave che li portò ad Ostracine, in Egitto.
Qui Giuseppe e la sua famiglia vissero
in una casetta fuori le mura della cittadina, che contava circa
ottantamila anime, per circa tre anni, per poi ritornare a Nazaret.
Come Gesù e come Stefano, primo
martire, anche noi dovremo considerare ogni peccatore come un fratello che
sta errando, così anche Dio considererà noi come Suoi Figli erranti, in
caso contrario, invece, solo come creature malevole, che sono sempre
sottoposte ai Suoi giudizi.
Per questo il Signore ha dato a noi
uomini due occhi e solo una bocca per parlare, affinché con un occhio
abbiamo a considerare gli uomini solo come uomini, con l’altro invece
come fratelli! Se gli uomini sbagliano davanti a noi, allora dobbiamo
avere aperto l’occhio di fratello, e rivolgere quello di uomo verso noi
stessi, e dunque di fronte ai fratelli che sbagliano vedere noi stessi
come uomini che sbagliano.
Con l’unica bocca invece dobbiamo
tutti ugualmente professare Un Dio, Un Signore e Un Padre, così Egli ci
riconoscerà tutti come Suoi figli. Infatti anche Dio ha due occhi e una
bocca; con un occhio egli guarda le Sue creature e con l’altro i Suoi
figli.
Se noi ci guardiamo con occhio di
fratello, allora il Padre ci vede con occhio di Padre; se invece ci
guardiamo con occhio di uomini, allora Dio ci vede soltanto con occhi di
Creatore, e la Sua altrettanto unica bocca annuncia ai figli il Suo Amore,
o invece alle creature il Suo Giudizio.