Mosè, nella sua storia della Creazione, non presenta che dei quadri simbolici nei quali è raffigurato il manifestarsi della prima concezione di Dio presso gli uomini della Terra, ma non la creazione materiale della terra e di tutti gli altri mondi.
1° giorno Nel principio Dio creò il cielo e la terra e la terra era deserta e vuota, e tenebre erano sopra l’abisso; ma lo Spirito di Dio si muoveva sopra le acque. E Dio disse: “Sia fatta la luce!” E luce fu. E Dio vide che la luce era buona; allora egli la separò dalle tenebre. Egli chiamo la luce Giorno, e la tenebra Notte, e cosi dalla sera e dal mattino fu creato il primo giorno.
Che cosa è “cielo” e che cosa la “terra” di cui Mosè dice che sono stati creati nel principio? Il “cielo” corrisponde allo spirituale, e la “terra” al naturale nell’uomo; quest’ultimo era ancora deserto e vuoto, com’è il caso con noi. Le “acque” sono le nostre false cognizioni in ogni campo, sopra le quali aleggia certamente lo Spirito di Dio, che però non le ha ancora penetrate.
Ma poiché lo Spirito di Dio vede continuamente la spaventosa tenebra che regna nell’abisso della nostra mondanità materiale, Egli, come ora avviene, dice a noi: “Sia fatta la Luce”!
Ed ecco sorgere nel nostro naturale una lieve luce crepuscolare, e Dio vede quanto sia buona la luce per le nostre tenebre; siamo però noi stessi che non possiamo e non vogliamo persuadercene. Per questo motivo avviene una separazione in noi, e cioè il giorno viene diviso dalla notte, e dal giorno, che sorge in noi, possiamo riconoscere la tenebra che avvolgeva il nostro cuore.
Nell’uomo, il primitivo stato naturale è come una sera oscura, quindi come la notte. Ma poiché Dio gli concede la luce, questa diventa per l’uomo veramente come un’aurora, e cosi dalla sera dell’uomo e dall’aurora dell’uomo si compie veramente il suo primo giorno di vita.
Se Mosè, il quale era iniziato in tutti i misteri e in tutte le scienze degli Egizi, avesse voluto alludere con il versetti della Genesi alla costituzione del primo giorno naturale sulla Terra, egli avrebbe dovuto pur fare attenzione al fatto che dal tempo che intercorre fra una sera e una mattina non può mai risultare un giorno; infatti alla sera segue sempre naturalmente la notte profonda, e la mattina è seguita dal giorno.
Dunque, il tempo fra la sera e la mattina è “notte”, e soltanto quella fra mattina e sera costituisce il “giorno”.
Se Mosè avesse detto: “E così, dalla mattina alla sera fu creato il primo giorno”, allora saremmo autorizzati ad intendere con ciò il giorno naturale; ma egli per plausibili motivi di rispondenza simbolica, disse invece precisamente il contrario; e ciò significa la sera e contemporaneamente la notte dell’uomo, cosa che d’altronde è facilmente comprensibile, poiché non vi è stato finora nessuno che abbia visto un bambino padrone di ogni sapienza.
Quando un bambino nasce su questo mondo, un’oscurità completa, quindi la notte, regna sulla sua anima; però il bambino cresce, e per le impressioni che riporta e per gli insegnamenti di ogni genere che riceve, acquista sempre maggiori nozioni in vari campi; ed ecco, questa è la sera, vale a dire che l’anima comincia ad essere rischiarata da un lieve bagliore crepuscolare, paragonabile al chiarore della sera.
Si potrebbe obiettare che anche la mattina si fa chiaro e che Mosè avrebbe potuto ben dire precisamente: “E così, dal chiarore mattutino e dal susseguente mattino già chiaro, sorse il primo giorno.”
Ma secondo la rispondenza spirituale, Mosè sapeva che soltanto nella sera ha il suo riscontro lo stato terreno dell’uomo; egli sapeva bene che nell’uomo, per quanto riguarda lo sviluppo intellettuale su basi puramente terrene, avviene l’identica cosa come nella sera naturale in cui il chiarore va gradatamente sparendo.
Quanto più ansiosamente tendiamo con il nostro intelletto al raggiungimento dei beni terreni, tanto più si affievolisce nel nostro cuore la pura Luce divina dell’amore e della vita spirituale. Questa dunque è la ragione per cui Mosè chiamò sera una simile luce terrena dell’uomo.
Soltanto Dio, nella Sua Misericordia, suscita nel cuore dell’uomo anche un minimo raggio di vita, solo allora l’uomo comincia ad accorgersi della nullità di tutto quello che egli aveva prima acquisito con il suo intelletto, cioè con la sera spirituale, e gli risulta poi gradatamente sempre più luminosa la verità che tutti i tesori della luce della sera sono altrettanto passeggeri quanto questa luce stessa.
Ma la giusta Luce di Dio, accesa nel cuore dell’uomo, è appunto quel mattino che, con la sera che l’ha preceduta e da essa , porta con sé il primo, vero giorno nell’uomo.
Risulterà chiaro che deve esistere un divario enorme tra le due luci, o per meglio dire fra le due conoscenze, poiché ogni conoscenza, che ha le sue origini nella luce serale del mondo, è ingannevole e per conseguenza passeggera. Soltanto la verità dura in eterno; ogni inganno invece deve alla fine essere annientato.
2°giorno: Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Potrebbe accadere facilmente che la Luce divina nell’uomo si possa riversare nella luce della sera (creata cioè dalle conoscenze naturali), e che venisse poi consunta o per lo meno confusa con l’altra, in modo che alla fine non si possa distinguere più quale sia la luce della natura e quale la Luce divina.
Allora Dio creò una distesa fra entrambe le acque, che significano le due specie di conoscenze riguardo alle quali abbiamo già discusso nel primo giorno. Questa distesa è il vero Cielo nel cuore dell’uomo, e si esprime nella vera fede vivificante, ma mai in eterno in sofismi intellettuali vuoti e meschini.
Per tale motivo colui che è armato di fede potente e incrollabile il Signore lo chiama davanti a noi “una roccia” e lo pone come una nuova distesa fra Cielo ed Inferno, e contro di essa nessuna tenebrosa potenza dell’inferno potrà mai prevalere in eterno.
Quando questa distesa è posta nel cuore dell’uomo, ed in lui la fede diventa sempre più potente, allora da una tale fede sorge più evidente e chiara la visione della nullità delle nozioni acquisite mediante l’intelligenza naturale; l’intelligenza naturale poi si sottomette al dominio della fede, ed in tal modo risulta nell’uomo dalla sua sera dalla sua sempre più chiara mattina, il secondo giorno che è di gran lunga più luminoso del primo.
Dunque, l’uomo che si trova nello stadio di questo secondo giorno intravede già ormai quello che soltanto è destinato ad affermarsi per l’eternità quale pienamente e definitivamente vero; però le idee in lui non sono ancora nel loro vero e proprio ordine.
L’uomo tende ancora a confondere il naturale con il puramente spirituale, valorizza troppo la natura, ed in seguito a ciò gli sembra di scorgere il materiale anche nello spirito, e per conseguenza non è ancora capace di decidersi ad una giusta azione.
Egli è simile ad un mondo puramente acqueo che è bensì circondato da tutte le parti dall’aria attraverso la quale penetra la luce, ma in complesso non può tuttavia avere una chiara idea se il suo mondo acqueo sia una derivazione dell’atmosfera di aria e di luce che lo circonda, oppure se sia stata quest’ultima invece a trarre le origini dal mondo acqueo. In altre parole, egli non sa ancora distinguere in se stesso in modo sufficientemente chiaro se le sue cognizioni spirituali si siano sviluppate dalla sua intelligenza naturale, oppure invece se questa intelligenza naturale sia una conseguenza e un prodotto delle cognizioni spirituali forse già misteriosamente preesistenti nell’uomo che dal principio agiscono in lui in maniera altrettanto misteriosa o meglio, per rendere ancor più evidente l’idea, egli non sa se la fede sia un derivato della scienza oppure se la scienza derivi dalla fede e quale sia la differenza tra una e l’altra.
In breve, egli non sa cosa esisteva prima, se la gallina o l’uovo, oppure la semente o l’albero.
3° giorno Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
A questo punto Dio viene nuovamente in aiuto all’uomo, quando quest’ultimo, valendosi della forza concessagli e quindi a lui propria, abbia sufficientemente operato a vantaggio di questo secondo giorno del suo sviluppo spirituale; e questo ulteriore aiuto consiste nel fatto che, nell’uomo la luce viene resa più intensa; e la luce aumentata, fa come il sole a primavera, comincia a fecondare tutte le sementi poste nel cuore dell’uomo, e ciò non avviene in virtù dell’accresciuto splendore, ma anche in virtù del calore sviluppato dalla maggiore luce.
Ora, questo calore si chiama Amore e costituisce nello stesso tempo il terreno nel quale le sementi iniziano a germogliare e a mettere radici.
A questo appunto fa allusione Mosè nella sua Genesi quando dice che Dio comandò alle acque di raccogliersi in determinati luoghi separati, affinché possa rendersi visibile il terreno solido ed asciutto che è l’unico nel quale le sementi possono prosperare e produrre frutti vivi e vivificanti.
Ci si potrebbe chiedere come mai Dio avrebbe dovuto fissare l’asciutto con il nome di “terra” e le acque radunatesi in luoghi prestabiliti con il nome di “mare”. Per Se Stesso Egli non avrebbe avuto davvero bisogno di farlo, perché sarebbe un po’ troppo ingenuo supporre che la suprema divina Sapienza volesse trarre uno speciale compiacimento, come può accadere ad un uomo, per il fatto che essa era riuscita a dare all’asciutto il nome di “terra” ed alle acque, separate e raccolte in luoghi determinati, quello di “mare”.
D’altro canto, per qualcun altro di certo Dio non poteva dare questi nomi all’asciutto e alle acque separatesi da esso, considerato che all’epoca in cui sarebbe avvenuta tale creazione non poteva esistervi ancora alcun essere all’infuori di lui che avesse potuto comprenderLo.
Non è dunque possibile che quanto ha raccontato Mosè sia da intendere nel senso materiale, ma solamente nel senso spirituale, e dimostra in quel modo anzitutto ogni singolo uomo per sé, e così pure per l’umanità intera, vengono di tempo in tempo educati e nobilitati, elevandoli dall’originario ma necessario stato naturale-materiale a quello spirituale sempre più puro.
Nell’uomo dunque avviene una separazione perfino per quanto riguarda la sua parte naturale. Le cognizione acquisite hanno cioè il luogo ad esse destinato, e costituiscono il mare dell’uomo, mentre l’amore, che sorge dalle cognizioni, come un terreno atto a produrre i suoi frutti viene continuamente lambito dal mare, ossia dalla vera luce emanata da detto mare quale complesso delle cognizioni, e viene sempre più fertilizzato e reso idoneo alla produzione, sempre più abbondante di ogni specie di nobili frutti.
Per conseguenza, quando le cognizioni dell’uomo hanno circondano da ogni parte l’amore, e vengono a loro volta sempre più illuminate e nutrite dalla fiamma d’amore , alla quale esse danno sempre maggiore alimento, allora anche l’uomo diviene in uguale misura sempre più atto ed incline all’azione vigorosa in tutto il suo essere.
Ed in questo stato Dio si avvicina nuovamente all’uomo, naturalmente, come già di per sé s’intende, e quale eterno Amore parla all’amore dell’uomo nel suo cuore e dice: “Produca la terra erba minuta, erbe che facciano seme, ed alberi fruttiferi che portino frutto secondo la loro specie, il cui seme sia in esso, sopra la terra!”
In seguito ad un tale comandamento di Dio nel cuore dell’uomo, questi acquista solidità nel volere, forza e coraggio, e con raddoppiata energia pone mano all’opera.
Ed ecco, le sue vere cognizioni si levano come nubi gravide di pioggia dal mare tranquillo, si distendono sull’arida terra, la irrorano e la fecondano. E la terra allora, sotto questo influsso, comincia a verdeggiare e a produrre ogni tipo di erbe, di arbusti e di alberi fruttiferi che fanno seme secondo la loro specie; vale a dire quelle cose che, in tale stadio, il sano intelletto, illuminato dalla divina Sapienza, riconosce come buone e vere, quelle cose brama e vuole anche l’amore nel cuore dell’uomo.
Infatti, come la semente, se affidata alla terra, ben presto germoglia e produce frutti abbondanti, altrettanto avviene nelle giuste e vere cognizioni che cadono sul terreno vibrante di gioia e di vita nel cuore.
La semente però, posta nel terreno, ha l’effetto di risvegliare la forza vitale altrimenti sonnecchiante nel terreno stesso; questa forza vitale si raccoglie e si concentra poi sempre più intorno al seme, e fa in modo che esso germogli e diventi pianta rigogliosa e ricca di frutti.
In breve, la cognizione vera e giusta diviene attiva solo nel cuore, e dall’azione poi risultano le opere più svariate; ed è di queste cose che Mosè con profonda sapienza intende parlare nella sua Genesi, e precisamente nei versetti 11 e 12 del Cap. 1.
Quanto costituiva prima la sera originaria dell’uomo viene, per mezzo della Luce dei Cieli, elevato allo stato di vera coscienza e conoscenza, e in tal modo trasformato in azione alla quale devono seguire le opere; è questo il terzo giorno della Creazione e formazione del cuore di tutto l’uomo nell’uomo, di tutto l’uomo, cioè, spirituale, poiché è a questo soltanto che va attribuita tutta l’importanza, ed è per questo unicamente che sono venuti al mondo tanto Mosè quanto gli altri profeti di Dio, ed infine Gesù stesso.
4°giorno: Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
Questo è il testo letterale della storia della Creazione del quarto giorno, cioè la storia di quell’azione che, propriamente, secondo la Genesi costituisce il quarto giorno.
Se si considera questa cosa soltanto un po’ più a fondo, e la si scruta anche con la sola forza intellettiva naturale, è impossibile che non ci si renda conto di primo acchito dell’enorme insensatezza che risulta attribuendo un reale valore alle espressioni letterali contenute nella Genesi.
Non è detto nella Genesi che Dio creò la luce già il primo giorno e che, in tal modo, dalla sera e dal mattino fu creato il primo giorno? Che genere di luce era, allora, quella che per ben tre giorni è stata sufficiente a produrre il giorno e la notte? Il quarto giorno Dio dice nuovamente: “Vi siano delle luci nella distesa del cielo”; si domanda ora: “Di che luci si può trattare qui, le quali abbiano da separare il giorno dalla notte?”. Ma se tale fine era già stato conseguito durante i tre primi giorni, dalla luce creata il primo giorno!? Perché dunque creare nel quarto giorno altre luci ancora, sempre al medesimo scopo? Aggiungiamo poi che qui non si parla che di “luci”, mentre non si fa il benché minimo accenno ad un sole e ad una luna. Oltre a ciò queste luci producono anche segni: quali segni dunque? E finalmente le stagioni; quali stagioni? E i giorni e gli anni: di che giorni e di anni si parla? La notte dunque non conta nulla? Non viene la notte, come spazio di tempo, trattata alla stessa stregua del giorno?
Se, com’è evidente, sia il giorno che la notte naturale sulla Terra hanno la sua ragione nel moto caratteristico della Terra stessa e se il sole a questo riguardo non c’entra se non in quanto esso splende continuamente in un punto del firmamento, e con la sua luce suscita il giorno laddove colpiscono i suoi raggi e non può per conseguenza mai e poi mai governare il giorno, si domanda: “Come con le sue luci avrebbe potuto Mosè alludere al sole e alla luna?” E se anche Mosè avesse con ciò voluto significare il sole e la luna materiali, egli, per maggior chiarezza della sua rivelazione agli uomini, avrebbe certo chiamato queste due luci del cielo con il loro nome, perché ai tempi di Mosè tutti già conoscevano come si denominavano entrambi questi corpi celesti.
Oltre a ciò Mosè parla di una distesa nel cielo, di un firmamento che, veramente nello spazio naturale non esiste in alcun luogo, per la ragione che sole, luna e stelle, come pure questa Terra, si librano nell’etere perfettamente libero, che non ha confini in nessun luogo, e, in virtù della legge che li governa e che in loro risiede, vengono mantenuti nello stato loro assegnato ed allo scopo cui sono chiamati a servire; hanno un determinato moto libero e non sono per nulla fissati in un punto di un qualche firmamento celeste.
Infatti, nell’incommensurabile vastità e libertà dello spazio, non vi è che un firmamento solo, è questo è la Volontà di Dio, nella quale ha fondamento la Legge immutabile per l’eternità, che governa lo spazio e tutte le cose contenute in esso.
Se quello che si presenta ai nostri occhi come un’immensa volta azzurra che ricopre tutto fosse un firmamento sul quale sole, luna e tutte le stelle si trovassero fissate in modo uguale, come potrebbero muoversi, e, in particolare poi, come potrebbero cambiare continuamente di posto i pianeti che conosciamo?
Le altre stelle, sembrano veramente stare immobili in un punto loro assegnato in qualche firmamento, ma non è così. Queste stelle sono tanto enormemente distanti dalla Terra, e le loro orbite talmente ampie che spesso per percorrerle interamente non bastano quasi nemmeno parecchie centinaia di migliaia di anni terrestri, e per conseguenza i loro movimenti non possono venire percepiti nemmeno in cento generazioni umane; questa dunque e non altra è la ragione perché tali astri appaiono immobili nella volta celeste, ma, come accennato, la realtà è ben differente, e non esiste in nessun punto dello spazio infinito un cosiddetto firmamento.
Il firmamento cui allude Mosè è la ferma volontà secondo l’Ordinamento divino; volontà che ha le sue radici nelle vere e giuste cognizioni dell’intelletto e nell’amore, il quale amore è il terreno benedetto della vita. Ma poiché tale volontà può germogliare soltanto dalla pienezza che ha in sé le premesse del frutto del vero amore di Dio nel cuore dell’uomo, come pure questo amore a sua volta non può sorgere che dalla Luce celeste che Dio riversò nell’uomo quando Egli separò la tenebra interiore di costui in sera e mattina, così questo vero amore, la giusta concezione delle cose ed un vero e sano intelletto – caratteristiche queste che si manifestano nell’uomo nella fede vivificante – costituiscono il Cielo dell’uomo, e la ferma volontà nell’ordine di Dio che ne deriva è il firmamento o distesa nel cielo dell’uomo. Ed in un simile firmamento, qualora esso si trovi definitivamente nel vero ordine prescritto dalla Volontà divina d’Amore, Dio pone nuove luci dal Cielo dei cieli, il quale è il purissimo Amore paterno nel cuore di Dio. Queste nuove luci illuminano poi la volontà umana, la elevano allo stato di sapienza degli angeli del supremo fra i cieli e sublimano con ciò l’uomo creato ad increato figlio di Dio, trasformandosi per proprio volere e rientrato da se stesso nell’Ordine divino.
Finché l’uomo è creatura, egli è limitato nel tempo, è transitorio e non può durare, poiché ciascun uomo, creato com’è nell’ordine naturale delle cose, non è altro che una custodia adatta al determinato scopo di sviluppare in sé stessa un vero uomo, e ciò con la costante cooperazione divina.
Quando questa custodia esterna ha raggiunto un grado sufficiente di sviluppo – e per conseguire questo Dio l’ha fornita e dotata, in modo più che soddisfacente, di tutti gli elementi e di tutte le proprietà necessarie -,allora Egli risveglia, ovvero, meglio anzi, sviluppa nel cuore umano il proprio Spirito increato ed eterno, e questo Spirito, secondo la misura della sua forza attiva, è quello che Mosè volle intendere e voleva che fosse inteso quando parlò delle due grandi Luci poste nella distesa del cielo, e così altrettanto, e non diversamente, lo intesero i patriarchi e tutti i Profeti.
Questa luce eterna, increata ed davvero eternamente viva, posta nel firmamento dell’uomo, è poi il verissimo governatore del vero giorno dell’uomo, ed insegna alla già citata custodia umana creata a trasformarsi completamente nella sua eterna ed increata essenza divina, e in tal modo a tramutare l’intero uomo in un vero figlio di Dio.
Ogni uomo creato, però, ha un’anima vivente che a sua volta è uno spirito, e possiede le necessarie facoltà di riconoscere il buono e il vero, il cattivo e il falso, di assimilare ciò che è buono e vero e di respingere da sé ciò che è cattivo e falso; ma ciò nonostante essa non è uno spirito increato, bensì creato, e come tale di per sé, con le sue sole forze, non può giungere mai ad essere figlia di Dio.
Soltanto quando essa, secondo la legge che le fu data, abbia accettato il buono e il vero in tutta umiltà e modestia del proprio cuore e per il proprio libero volere di cui fu dotata da Dio, soltanto allora una simile volontà umile, modesta e obbediente diviene, per rendere il concetto evidente, un vero firmamento, poiché essa si è plasmata sul tipo di quello celestiale posto nell’anima umana; ed è in tale stato atta perfettamente ad assimilare in sé il divino puro increato.
E così allora il divino puro, ossia lo Spirito increato di Dio che per l’eternità viene posto in un simile firmamento, è la grande Luce. L’anima dell’uomo invece, la cui luce in virtù di questa Luce maggiore viene portata ad un grado pressoché uguale di intensità, costituisce la seconda luce, vale a dire la minore, la quale dunque, al pari della Luce maggiore increata, viene posta ormai nello stesso firmamento e, per l’influsso della stessa luce increata, viene a sua volta resa partecipe della qualità e virtù della Luce increata, senza alcun danno però alla sua costituzione naturale, bensì con infinito vantaggio per quanto riguarda la sua definitiva purificazione spirituale.
Infatti l’anima dell’uomo di per se stessa non potrebbe mai in eterno contemplare Dio nella sua purissima essenza spirituale; e così ugualmente il purissimo ed increato Spirito di Dio non potrebbe mai vedere ciò che è naturale, poiché il naturale-materiale è come se non esistesse per lui.
Ma ecco che con l’unione perfetta, come prima indicato, dello Spirito purissimo con l’anima, quest’ultima, grazie al nuovo Spirito che la penetra, può contemplare Dio e spaziare nelle profondità senza principio e senza fine della Sua purissima Essenza spirituale, e d’altro canto lo Spirito, per mezzo dell’anima, perviene alla visione del naturale-materiale.
E’ questo ciò che dice Mosè, che la luce grande governa il giorno e la luce piccola governa la notte, ed esse determinano i segni, ossia: in ogni sapienza il fondamento di tutto ciò che appare e di tutte le cose create, dunque esse determinano anche i tempi giorni ed anni; il che equivale a dire: riconoscere in tutte le cose che appaiono la sapienza, l’Amore e la Grazia di Dio.
Le stelle poi, alle quali Mosè fa pure menzione, denotano le innumerevoli utili cognizioni in ogni campo, le quali singole cognizioni certamente derivano da un’unica cognizione principale e fondamentale, e sono per conseguenza poste nel medesimo firmamento come le due Luci principali.
Vedete, questo dunque è il quarto giorno della Creazione di cui parla Mosè nella sua Genesi, il quale giorno, com’è facilmente comprensibile, sorge, ugualmente agli altri tre che lo precedettero, dalla stessa sera e mattina dell’uomo.