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Occhio per occhio e il mondo diventa cieco.
Mt 5, 38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Questa è la continuazione del discorso delle beatitudini, sul monte Garizim, nelle vicinanze di Sichar, in Samaria.

Questi furono i primi versetti scritti da Matteo evangelista (che è altra persona rispetto al Matteo apostolo, il pubblicano), reclutato proprio in Sichar, dove assolveva la funzione di scrivano presso un ufficio romano. I primi quattro capitoli furono aggiunti solo successivamente, ma fu il Signore ad anticipare a Matteo di iniziare dal capitolo cinque e non, come si usa normalmente quando si inizia a scrivere, dal capitolo primo.

 Abbiamo inteso che come ci fu spiegato dalla legge di Mosè, dalla quale risultava evidente che “occhio per occhio e dente per dente”, cioè che doveva essere restituito il malfatto o il maltolto nella stessa misura? Gesù ora ce la spiega come nessuno è mai riuscita ad esporla.

La legge mosaica infatti doveva essere letta come espressione dell’amore di Dio per l’uomo, come ancora di salvezza per non perdersi nel caos del mondo, come buon consiglio.

Invece è stata sempre letta in modo costrittivo, con l’imperativo “devi” piuttosto che con il condizionale “dovresti”.

Il rispetto dei Dieci comandamenti non appare più come un pesante giogo da portare sulle nostre spalle, ma come una croce pesante solo in apparenza. La Legge mosaica trova il suo completamento solo ed esclusivamente nell’amore, amore che oggi il Signore porta a nostra conoscenza.

Cosa vuol dire Gesù ai suoi discepoli e quanti lo seguirono nel monte per ascoltarlo?

Non date spazio al male. Non buttate benzina nel fuoco. Non ripagate il male con il male.

Questo vale per i suoi discepoli. Questo vale per chi vuole seguirlo. Come potevano riconoscerli e riconoscersi come Suoi discepoli se si ripagavano le malefatte con maledizioni o altri generi di vendette?

E che vuol dire non opporsi al malvagio? Io propendo per non opporre resistenza, ma nel senso di tentare di essere proprio “altra cosa” rispetto al malvagio.

Dobbiamo togliere il “terreno sotto i piedi” a chi pensa di farsi forza sulla sua malvagità per inserirci nel circolo vizioso della maldicenza o della vendetta. Estraniarsi dalle vicende del mondo e delle sue dicerie.

Gli esempi dello schiaffo e la disputa per il possesso della veste non vennero riportati giustamente per iscritto, ed in aggiunta vi seguirono le successive traduzioni dalla lingua ebraica alla greca, e da questa nella latina.

Tali versi devono essere espressi come segue:

“Se tu sei venuto a diverbio con un tuo vicino per una sciocchezza, ed egli ti si avvicina con l'intenzione di passare alle vie di fatto, non diventare tu pure più veemente, bensì porgigli amichevolmente la mano e rappacificati con lui, affinché la vecchia amicizia fra voi venga nuovamente ravvivata!”.

Lo stesso può venir detto per quanto riguarda il diritto di avere la veste oltre al mantello.

Tuttavia, per poter meglio comprendere questo diritto sulla veste, bisogna avere una conoscenza, per lo meno parziale, degli usi e costumi degli ebrei. Era in uso fra questi fin dal tempo antico che, quando qualcuno, senza denaro e senza nessun animale da vendere aveva bisogno di una veste o di un mantello, oppure di tutti e due contemporaneamente, si recasse dall'uno o l'altro sarto della sua comunità, o del luogo di sua residenza, e gli esponesse il suo caso e fissasse un termine di pagamento.

Ora succedeva spesso, che qualcuno non fosse in grado di rispettare tale termine o che non volesse rispettarlo, e che perciò il confezionatore dell'indumento, o degli indumenti, fosse costretto ad attendere fino ad un secondo termine, e talvolta fino ad un terzo ed ultimo, però dietro pagamento di un piccolo importo per interessi.

Alla scadenza del terzo termine, il sarto aveva il diritto di pretendere dal suo debitore quanto pattuito; se non lo otteneva, si recava da un giudice, spesso piuttosto irritato.

Da una parte il confezionatore degli indumenti voleva quanto dovutogli, dall'altra il possessore del mantello o della veste trovava ogni tipo di scuse per giustificare il fatto che non era in grado di soddisfare il suo creditore nemmeno alla terza scadenza. Per questi casi c'era presso gli ebrei una legge secondo cui, se l'impossibilità di pagare era reale, la comunità era obbligata ad indennizzare il sarto, per mantenerlo nella sua attività. La comunità, a sua volta, era autorizzata a rivalersi con il tempo sul suo associato insolvente, quando cioè si sarebbe accorta che egli era nella possibilità di pagare.

Questo caso però si verificava una volta su dieci, poiché erano molto rari i debitori disposti a far fronte al loro vecchio debito, trovando tutti i pretesti per cavarsela, cosicché nelle comunità i litigi duravano spesso degli anni.

Cosa vuol dire qui il Signore? Che il mezzo migliore, innanzitutto, è di essere pienamente leali e onesti secondo la Legge di Mosè, secondo la quale nessuno deve desiderare e pretendere ciò che appartiene agli altri; visto però che in questo caso si tratta d'una disputa per una veste, tanto per il debitore è meglio rimetterci una ed anche due volte la veste, ed alla fine anche il mantello, anziché coinvolgere tutta la comunità in molti litigi e discordie del tutto inutili.

Infatti del resto, anche l'Evangelista ha voluto riportare questi fatti e detti con il minimo di parole possibile, poiché lo scrivere allora non procedeva spedito come ai tempi vostri, bensì molto faticosamente e lentamente, e per scrivere una tale pagina, che attualmente richiederebbe anche da uno scrivano provetto dai venti ai trenta minuti, un Luca in Gerusalemme, od un Teofilo in Atene, Corinto o Siracusa, dove egli stesso temporaneamente soggiornava, impiegava, con tutta l'applicazione, circa otto giorni. Infatti, egli doveva incidere le lettere con uno stiletto d'acciaio o bulino in una dura lastra di pietra appositamente preparata, oppure letteralmente dipingere sulla pergamena con il suo pennello di pittore. Per uno scrivano o pittore provetto il tracciare le lettere con un pennello procedeva naturalmente più sollecito, però non molto più considerevolmente che non con il bulino. Questa è la ragione per cui ai  tempi di Gesù gli scrivani erano molto succinti, e un l'Rabbas, per poter avere dinanzi a sé completo il suo ultimo, cioè quindicesimo, Vangelo secondo Matteo scritto su pergamena, dovette impiegare ben venticinque anni di lavoro, e dire che egli era diligente e zelante. Ora vi riuscirà più comprensibile perché simili scrivani compilavano i loro scritti il più succintamente possibile, limitandosi a fissare i concetti principali, ed omettendo quelli secondari che sarebbero serviti a chiarirli.